I dati del mercato dell’ICT nel 2024

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La crescita del settore ICT (Information and Communication Technologies) nel corso dell’ultimo anno è stata notevole e ha contribuito in maniera importante alla valorizzazione del Made in Italy Digitale. I sistemi ICT e le loro applicazioni sono quindi un elemento fondamentale in ottica Industria 5.0 per le PMI di diversi settori, che nel 2024 hanno contribuito a consolidare la posizione dell’Italia nel contesto della rivoluzione digitale.

Alla luce di dati così rincuoranti, sarà fondamentale il contributo della politica, specie in termini di investimenti. Una sinergia tra governo e PMI è la chiave per un ulteriore sviluppo delle applicazioni ICT e per la definitiva affermazione del digitale italiano sul mercato internazionale.

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I dati del mercato dell’ICT nel 2024

Una fotografia dettagliata della situazione dell’ICT in Italia arriva dall’ “Assintel Report 2024”. La diciottesima edizione si è tenuta a Roma e ha potuto contare sulla presenza di Adolfo Urso, Carlo Sangalli e Paola Generali, rispettivamente Ministro delle Imprese e del Made in Italy, presidente di Confcommercio e presidente di Assintel.

Il report certifica che il valore del mercato ICT in Italia ha toccato i 42,4 miliardi di euro, con un aumento stimato del +4,5% nel 2025. Queste percentuali sono figlie di un grande interesse delle PMI italiane nei confronti delle tecnologie digitali, tanto che il singolo settore ha fatto registrare questa crescita a un ritmo superiore rispetto alla media dell’economia nazionale. A fare da traino sono stati in particolare gli investimenti di imprese e pubbliche amministrazioni, che da sole costituiscono il 53% del mercato ICT Business. La crescita relativa a questo segmento è del +4,9%, per un valore pari a 22,5 miliardi di euro. Non è da sottovalutare comunque il dato inerente alle PMI, con rispettivamente:

  • +2,2% per le micro-imprese;
  • +3,1% per le piccole aziende;
  • +3,9% per le medie aziende.

Complessivamente, le aziende hanno aumentato del 27% gli investimenti in innovazione digitale, di cui i sistemi ICT sono una parte fondamentale. Il trend è confermato dallo scarso numero di imprese che al contrario li hanno diminuiti: solo il 7,2%, con il 62,2% che invece non ha prodotto cambiamenti significativi dall’anno precedente. Un altro dato che va a delineare lo scenario del settore ICT è la presenza, sempre più scarsa, di realtà completamente analogiche. Mentre l’anno precedente esse costituivano ancora l’8,5% del totale, ad oggi rappresentano un esiguo 2,9%, pari a circa 45.000 imprese.

I sistemi ICT e le PMI

Il report fa luce anche su quali siano le applicazioni ICT predilette da aziende e PMI. Da un campione di 1.000 imprese, tra pubbliche e private, è emerso che gli investimenti ICT sono stati rivolti principalmente a:

  • Miglioramento delle attività di comunicazione e marketing (3 aziende su 10).
  • Sostenibilità (17%).
  • Sviluppo dei processi produttivi (16%).
  • Gestione clienti (14%).
  • Riorganizzazione aziendale (14%).

Le aziende campione sono state inoltre interrogate su quali fossero secondo loro le esigenze dei clienti che hanno portato a questo sviluppo dell’ICT. Le risposte sono state:

  • Personalizzazione di prodotti e/o servizi (46% delle risposte).
  • Contenimento dei costi operativi (39%).
  • Integrazione e interoperabilità dei sistemi (38%).
  • Sviluppo dell’automazione ed efficientamento operativo (36%).
  • Migrazione su infrastruttura Cloud (34%).
  • Velocità ed efficienza nello sviluppo applicativo (34%).
  • Miglioramento delle pratiche di sicurezza e privacy (32%).

Come facilmente preventivabile, le nuove tecnologie stanno avendo un ruolo fondamentale in questo scenario. In cima alla lista si trovano cloud computing, AI e cybersecurity. Applicazioni ICT interessanti si hanno tuttavia anche relativamente a metaverso, realtà virtuale/aumentata, IoT, blockchain e NFT. Tra le PMI italiane, le digital agency in particolare hanno puntato sull’intelligenza artificiale generativa. Nonostante la sua giovane età, la GenAI ha infatti registrato un tasso di adozione del 21% e una previsione futura del 45%.

È inoltre interessante notare come l’adozione di un sistema ICT abbia interessato le imprese a prescindere dalla loro dimensione. Nonostante le medie aziende, ovvero con un numero di dipendenti comprese tra 50 e 250, sono più predisposte a implementare applicazioni ICT, le PMI e le micro-imprese non sono state da meno. Questo dato testimonia come la scalabilità e la versatilità delle tecnologie in questione siano qualità perfette per rispondere a esigenze professionali e budget di varia entità.

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PMI: le proiezioni per il 2025

Anche se è verosimile pensare a una sensibile crescita dell’ICT nel 2025, è necessario che le PMI italiane risolvano alcune criticità per valorizzarne definitivamente le potenzialità fin qui espresse. Un ostacolo particolarmente rilevante è quello culturale. Il 40% delle aziende coinvolte ha dichiarato di incontrare difficoltà nell’elaborazione di strategie digitali e modelli di business che tengano conto delle innovazioni dei sistemi ICT. A questa problematica si aggiunge quella relativa alle competenze digitali. Implementare un sistema ICT senza sfruttarlo a dovere sarebbe inutile e non tutte le aziende dispongono del giusto know-how, con addirittura il 39% del campione che riscontra difficoltà a trovare professionisti preparati sul mercato.

Al netto di un entusiasmo palpabile verso il mondo ICT, è dunque lecito aspettarsi un approccio più pragmatico delle PMI in futuro. Tale aspettativa, che potrebbe tradursi in un rallentamento, è da contestualizzare anche in funzione delle profonde incertezze dell’economia italiana e da una farraginosità di fondo nell’accesso ai finanziamenti. La competitività offerta dai sistemi ICT per l’Industria 5.0, lascia comunque presagire un 2025 di crescita, sulla scia dei trend positivi fin quei registrati.

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Cybersecurity nell’IIoT: come procedere

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La progressiva digitalizzazione degli spazi di lavoro, conseguente all’adozione sistematica dell’Industrial Internet of Things, ha modificato radicalmente il volto di fabbriche e aziende. La rinnovata connettività di impianti e dispositivi non ha però solo generato vantaggi importanti in termini di prestazioni ed efficienza, ma ha comportato anche nuove sfide.

Una di queste è sicuramente l’adozione di nuove pratiche di cybersecurity. La capillare interconnessione tra le macchine ha portato con sé un esponenziale aumento del rischio di attacchi informatici, i quali peraltro si sono anch’essi evoluti nel tempo. Lo sviluppo dell’IIoT deve dunque andare di pari passo con quello della sicurezza informatica, al fine di garantire la tutela dei dati aziendali e la regolarità dei processi produttivi.

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La cybersecurity in ambito IIoT

Per meglio comprendere la centralità di buone pratiche di cybersecurity in campo IIoT, è bene partire da qualche numero. Il segmento di mercato dell’Internet of Things ha toccato un valore pari a 8,3 miliardi di euro, con una crescita annuale del 13%. Il 77% delle grandi imprese e il 58% delle PMI hanno avviato almeno un progetto IIoT e i settori più interessati sono stati l’agro-tecnologico (+32%) e quello delle fabbriche (+22%).

A questi dati si contrappongono quelli relativi alla cybersecurity. Nel 2022 gli attacchi informatici hanno fatto registrare un +87%, crescendo di un ulteriore +50% nel 2023. Come se non bastasse, le previsioni per la conclusione del 2024 sono quelle di un ulteriore incremento. L’Italia in particolare è uno tra i paesi più colpiti, dato che l’aumento di cyberattacchi è del 65% superiore alla media.

Il confronto di questi numeri delinea uno scenario complesso. Da una parte l’IIoT si conferma componente fondamentale dell’industria 5.0. D’altro canto, l’effettiva tenuta delle aziende di fronte ad attacchi informatici sempre più pericolosi ed elaborati appare dubbia, visto che non tutte sembrano possedere un’adeguata cultura in materia di cybersecurity, con ovvie ripercussioni sull’infrastruttura aziendale.

Ancora una volta, le statistiche confermano le impressioni generali. Uno studio globale del 2022 sulla sicurezza industriale ha raccolto le opinioni di un campione di dirigenti riguardo la situazione della propria azienda. Ebbene, il 96% ha riscontrato la necessità di investire maggiormente in cybersecurity, mentre addirittura il 93% ha riconosciuto come fallimentare l’attuale politica di sicurezza informatica. In ottica industria 5.0, una maggiore consapevolezza sui rischi dell’IIoT e su come predisporre contromisure adeguate alle principali cyberminacce deve dunque costituire un’assoluta priorità.

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Alcuni passaggi fondamentali per implementare al meglio la sicurezza nell’IIoT

Per conseguire l’obiettivo di migliorare la cybersecurity IIoT, è necessario adottare un approccio olistico, basato cioè sulla combinazione di ammodernamento tecnologico e formazione di personale specializzato. Alcuni device utilizzati potrebbero ad esempio essere troppo vecchi e non più aggiornati, prestando così il fianco a cyberattacchi a causa della mancanza di adeguati sistemi di crittografia dei dati o di autenticazione degli accessi. Tale problema è ancora più accentuato se vengono connessi in rete dispositivi precedenti all’Industrial Internet of Things e quindi ulteriormente vulnerabili.

L’aggiornamento dell’infrastruttura è pertanto il punto di partenza ideale per rafforzare la sicurezza informatica aziendale, ma altrettanto necessario è avvalersi di una gestione professionale. Molte imprese scelgono la strada dell’outsourcing, demandando quindi la cybersecurity IIoT ad aziende che forniscono soluzioni integrate specifiche. Tuttavia, quando possibile, sarebbe opportuno poter contare su personale interno adeguatamente formato.

Ogni strategia di sicurezza va declinata sulla base del contesto specifico dello spazio di lavoro. È però possibile identificare alcune pratiche fondamentali per la sicurezza nell’IIoT, tra cui:

  1. Monitoraggio costante dello stato di sicurezza;
  2. Aggiornamento dell’inventario delle risorse;
  3. Elaborazione di strategie di gestione del rischio e delle vulnerabilità;
  4. Segmentazione della rete;
  5. Implementazione di un accesso remoto sicuro.

Il monitoraggio della rete è una misura preventiva tanto basilare, quanto importante. Tenendo sempre sotto controllo lo stato dell’ecosistema IIoT, è possibile evitare perdite di dati e bloccare sul nascere minacce come gli attacchi DDoS o i ransomware.

Aggiornare l’inventario delle risorse contribuisce ad avere in ogni momento un quadro definito della situazione dell’infrastruttura dell’azienda, in modo da poter intervenire prontamente su ogni singolo device connesso. Una volta che si ha una panoramica di tutti i dispositivi connessi alla rete, bisogna dunque valutare rischi e vulnerabilità e approntare strategie su misura. Questo punto è particolarmente importante nel caso di dispositivi più vecchi che non possono ancora essere sostituiti e che sono più esposti agli attacchi.

Specialmente nel caso di realtà più grandi, segmentare la rete è un modo per facilitarne la gestione e anche per ottimizzare le prestazioni generali. Dividendo il flusso di lavoro in più sottoreti è possibile alleggerire il protocollo di comunicazione e ridurre i dati trasportati simultaneamente, minimizzando così i rischi. Un accesso remoto sicuro permette infine un maggior controllo sul passaggio delle utenze in rete, una riduzione dei tempi di riparazione e un’amministrazione centralizzata di tutti i device IIoT.

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Robotizzazione: bene l’Italia in previsione di Industria 5.0

Automazione e robotica sono senza dubbio due dei pilastri dell’industria 5.0 e il loro sviluppo sarà un punto centrale nel percorso di transizione delle imprese. La robotica industriale e l’automazione di buona parte dei suoi processi, è dunque il nucleo del nuovo paradigma di interazione uomo-macchina alla base della quinta rivoluzione industriale.

Per valutare le prospettive del prossimo futuro delle aziende italiane, bisogna dunque analizzare i dati relativi alla robotizzazione di fabbriche e processi produttivi. La situazione è complessa, caratterizzata da luci e ombre che lasciano intravedere ottime possibilità, ma anche criticità da risolvere prontamente.

Robotizzazione: la situazione del nostro paese

Il panorama relativo ad automazione e robotica in Italia è eterogeneo, con alcuni settori in forte crescita e altri in sensibile contrazione. Gli investimenti del Belpaese nella robotizzazione non sono dopotutto mancati, anzi: l’Italia è il paese che ha dedicato più fondi allo sviluppo dei robot per industrie.

Nel valutare la crescita economica del paese non ci si può però limitare a considerare gli sforzi profusi nella robotica industriale. Allo stesso tempo trend negativi nella produzione industriale non sono sinonimi di scarso interesse in automazione e robotica. Il dato dipende piuttosto da fattori quali l’indebolimento del ciclo produttivo globale, i tanti rincari nel settore energetico e uno scenario geopolitico non semplice.

Da non sottovalutare anche l’impatto della stretta creditizia. Il rialzo dei tassi di interesse ha danneggiato le imprese più piccole, che hanno più difficoltà ad accedere a risorse finanziarie e quindi a crescere, favorendo una concentrazione delle risorse nelle mani di imprese più grandi. Al di là delle considerazioni prettamente statistiche, la robotica industriale riveste comunque un ruolo centrale nell’economia italiana. Alcuni degli ambiti più interessati sono:

  • Settore della gomma e della plastica;
  • Costruzione di macchinari per la ceramica;
  • Fabbricazione di macchinari per calzature;
  • Produzione di veicoli a motore;
  • Industria farmaceutica;
  • Assemblaggio di computer e altri prodotti di elettronica.

È altresì interessante constatare come la crescita relativa ad automazione e robotica non coincida con la diminuzione della forza lavoro umana. Al contrario di paesi come ad esempio gli Stati Uniti, le industrie italiane sembrano quindi riuscire a preservare l’impiego dei dipendenti integrando le macchine in maniera armonica e aumentando la produttività complessiva.

Questi aspetti fanno dunque ben sperare per la transizione delle imprese italiane verso il modello di industria 5.0. Una prospettiva suffragata anche dal crescente numero di investimenti in prodotti della proprietà intellettuale che rimangono però inferiori rispetto a quelli tedeschi o francesi, anche per colpa di incentivi più bassi destinati a ricerca e innovazione.

Robotica industriale: i dati dei settori della ceramica e delle calzature

Ceramica e calzature sono due dei settori che più hanno beneficiato dei progressi compiuti nell’ambito della robotica industriale. È perciò interessante analizzare i dati relativi per avere un’idea dello stato di salute delle imprese italiane in transizione verso l’industria 5.0.

Nel comparto dei costruttori di macchinari per la ceramica, il fatturato complessivo è cresciuto dello 0,9%, toccando quota 2,37 miliardi di euro. In aumento anche l’export, che ha fatto registrare un ottimo +1,8% e una quota export-fatturato pari al 73%. La crescita è stata trainata da produzioni di nicchia quali stoviglieria e laterizi, rispettivamente con +23% e +67%.

Interessante anche il dato relativo alle soluzioni high-tech per stoccaggio, smaltatura e decorazione, tutte in rialzo rispetto alle presse che hanno invece subito un calo del 13,9%. Tra fine 2023 e inizio 2024 si è tuttavia registrato un leggero calo, attribuibile ai ritardi nell’operatività del Piano Transizione 5.0. Questo fa intendere come gli investimenti in automazione e robotica necessitino comunque di supporto e programmazione, per far fronte a condizioni di mercato non sempre favorevoli e per capitalizzare le potenzialità dell’impresa italiana.

Il settore della costruzione di macchinari calzature, pelletteria e conceria ha fatto registrare un trend simile. Nel 2023 è infatti cresciuto del 3,66%, frenando però nel secondo semestre, a causa di difficoltà globali di mercato. Le macchine per la conceria in particolare hanno segnato un +12,76% nelle esportazioni rispetto al 2022, vendendo bene in Europa, America e Africa.

Analogamente al comparto ceramica però, le prospettive future sono dubbie. Ciò non è solo legato dovuto a congiunture di mercato esterne, ma anche alla necessità di un maggiore supporto delle istituzioni, anche attraverso i decreti attuativi del piano Transizione 5.0.

Lo scenario delineato dai dati è in definitiva abbastanza chiaro. L’industria 5.0 è un passaggio chiave per la competitività delle imprese italiane, che dimostrano una buona predisposizione nello sviluppo di soluzioni di automazione e robotica. Adesso però è necessario un ulteriore sforzo, specialmente in un contesto fortemente influenzato da problematiche di natura geopolitica.

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Cisco Cybersecurity Readiness Index: qual è la fotografia delle aziende italiane

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Quella della cybersecurity è una tematica fondamentale quando si parla di industria 5.0 e IT. Proteggersi dalle minacce informatiche è un aspetto tutt’altro che secondario, specialmente alla luce del fatto che gli stessi cyberattacchi hanno raggiunto gradi di complessità e pericolosità sempre maggiori.

Ma qual è il rapporto tra le aziende italiane e la cybersecurity? Purtroppo, nonostante la digitalizzazione sempre più pervasiva dell’ambiente di lavoro, le nostre imprese sembrano non essere ancora al passo con i moderni standard di sicurezza informatica.

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Cisco Cybersecurity Readiness Index: I dati

La fotografia dello stato della sicurezza informatica in Italia arriva dal Cisco Cybersecurity Readiness Index 2024. Il report ha interessato ottomila responsabili della sicurezza di trenta diversi Paesi, tra i quali figura anche l’Italia.

Quest’indagine ha evidenziato innanzitutto un aggravarsi dei pericoli per le aziende che sono oggi sottoposte a numerose tipologie di attacchi. Tra i più conosciuti ci sono non solo phishing, malware, ransomware e social engineering, ma anche delle novità come ad esempio gli attacchi con AI e il crypto jacking. Quest’ultima tecnica è un malware dal funzionamento peculiare, in quanto sottrae potenza di elaborazione a un dispositivo per generare criptovalute.

I miglioramenti delle aziende nel campo della cybersecurity non appaiono però ancora adeguati allo scenario appena delineato. Queste difficoltà sono in parte riconducibili alla complessità delle stesse soluzioni di sicurezza informatica, tra l’altro spesso offerte in maniera frammentata alle imprese.

L’ibridazione degli ambienti di lavoro è un altro fattore da considerare, dato che la transizione digitale ha aumentato la quantità di dati e le connessioni tra sedi e dipendenti tra loro distanti. Il fatto che i dipendenti entrino da varie reti, in media più di sei, rende ancora più difficile approntare misure di difesa opportune.

Entrando più nel dettaglio, il Cisco Cybersecurity Readiness Index 2024 si basa sui cosiddetti cinque pilastri della sicurezza informatica aziendale, ovvero:

  • Identity Intelligence;
  • Network Resilience;
  • Machine Trustworthiness;
  • Cloud Reinforcement;
  • AI Fortification.

Ciascuna di queste voce comprende trentuno soluzioni e capacità diverse. Le aziende vengono successivamente classificate in quattro livelli di preparazione:

  • Principiante
  • Formativo
  • Progressivo
  • Maturo

Il report testimonia come l’inadeguatezza delle pratiche di cybersecurity non riguardi solo l’Italia: basti pensare che, in base a questa classificazione, solo il 3% delle aziende coinvolte si è dichiarata matura. In Italia la percentuale scende invece all’1%, con il 78% degli intervistanti che reputa la propria azienda si trovi tra il livello principiante e quello formativo.

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Come reagiscono le aziende italiane in tema di sicurezza informatica

Nonostante un livello di maturità ancora deficitario, l’attenzione delle aziende italiane verso la cybersecurity è in aumento. Questa è una necessità se si considera che più del 47% degli attacchi totali rilevati in Italia dal 2019 si è verificato nel 2023 e che dal 2018 all’anno scorso, gli stessi sono incrementati complessivamente del 78%, con una crescita mensile da 130 a 232. (Dati Rapporto Clusit).

In ampliamento quindi gli investimenti. Il 36% delle aziende coinvolte ha dichiarato un aggiornamento delle proprie infrastrutture IT entro massimo 24 mesi, con una buona parte di esse interessate a implementare nuove soluzioni, tra cui quelle basate sull’intelligenza artificiale. Inoltre, il 94% delle aziende ha in programma di aumentare il budget annuale dedicato alla sicurezza informatica. Nell’82% dei casi si tratta di un incremento cospicuo, di addirittura il 10%.

Un approccio che va cambiato è sicuramente quello dell’ottimizzazione delle misure di cybersecurity. In particolare, il 63% delle imprese usa almeno dieci soluzioni di sicurezza informatica. Il 22% ne implementa persino più di trenta. Un ecosistema di tecnologie di sicurezza così stratificato finisce però per avere l’effetto opposto, rallentando il rilevamento delle minacce. Meno sovraccarico in favore di un approccio più oculato dunque. Una tecnologia chiave in questo senso sarà l’AI generativa, che permette di semplificare la gestione della sicurezza aziendale, colmando anche il gap di competenza in ambito di cybersecurity.

A mancare sarebbero anche professionisti del settore capaci di fare la differenza. Per il 74% delle aziende, la scarsa disponibilità di esperti di sicurezza informatica è uno degli ostacoli principali. Di queste, il 38% ha inoltre aggiunto che nell’organico aziendale sono libere più di dieci posizioni legate alla cybersecurity.

Una considerazione finale la merita la questione della fiducia che le aziende italiane ripongono nelle proprie risorse di sicurezza informatica. Il 62% di esse ha comunicato di essere moderatamente o molto fiduciosa riguardo il possedere un’infrastruttura IT a prova di attacco. Tale atteggiamento genera un’evidente discrepanza tra preparazione reale e percezione del rischio.

Valutare in maniera attendibile i pericoli a cui l’azienda può essere soggetta è infatti un aspetto fondamentale per qualsiasi strategia proattiva di cybersecurity. La sensazione è pertanto quella di una tendenza alla sottovalutazione ancora diffusa, che può tradursi in ulteriori falle nella rete e anche in una certa incapacità a denunciare correttamente gli attacchi ricevuti. Il quadro generale potrebbe essere dunque ancora più complesso, con tante informazioni inaccessibili. Quel che è certo, è che adeguarsi a un nuovo paradigma di cybersecurity è sicuramente una delle sfide più urgenti che attendono le aziende italiane.

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Che cos’è il Piano Transizione 5.0

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Giorni importanti per il futuro dell’industria 5.0: il 23 aprile la Commissione Bilancio della Camera ha convertito in legge il DL 19 del 2 marzo 2024, che con il suo art.38 introduce ufficialmente il “Piano Transizione 5.0”.

Il lavoro parlamentare recentemente svolto rappresenta un momento centrale nell’attuazione del PNRR e segna la ferma intenzione dell’Italia di essere protagonista della nuova frontiera dell’industrializzazione con le sue imprese.

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Piano Transizione 5.0: in cosa consiste la legge

L’approvazione del Piano Transizione 5.0 è da inquadrare nel contesto dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In particolare, secondo le parole del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, si tratta di una novità decisiva per accompagnare le aziende italiane nella duplice transizione green e digitale nel corso del biennio 2024/25.

Ma cosa è il Piano Transizione 5.0? Si tratta di un pacchetto di incentivi, finanziato da fondi pari a 6,3 miliardi di euro. Il fine ultimo è favorire la digitalizzazione e la sostenibilità delle imprese italiane.

Destinatarie del Piano Transizione 5.0 sono quindi tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, settore, dimensione o regime fiscale, che effettueranno investimenti in strutture produttive sul territorio italiano, relativamente a dei progetti di innovazione, e che da essi conseguiranno una riduzione dei consumi energetici.

Per essere eleggibili per il Piano Transizione 5.0, gli investimenti relativi a beni strumentali devono generare una riduzione di almeno il 3% a livello di impresa o di almeno il 5% per processo produttivo. È interessata anche l’implementazione di software per il monitoraggio energetico. Altri eventuali investimenti non compresi nel nuovo pacchetto, continuano a ricadere nel precedente Piano Transizione 4.0.

Gli incentivi del Piano Transizione 5.0 vengono erogati sotto forma di credito di imposta, utilizzabile in compensazione con le imposte a debito. In alternativa, essi possono fungere da sconto sulla cifra che spetta al fornitore dei beni strumentali. Le aliquote sono variabili, in funzione della tipologia di investimento e del risparmio energetico ottenuto:

  • Investimenti in beni strumentali per l’efficienza energetica:
    • 50% del costo totale, per un risparmio energetico di almeno il 30%
    • 30% del costo totale, per un risparmio energetico di almeno il 20%
  • Investimenti in beni strumentali per l’innovazione:
    • 40% del costo totale, in caso il bene rientri nella categoria “Beni 4.0”
    • 20% del costo totale, in caso il bene non rientri nella categoria “Beni 4.0”
  • Investimenti in beni strumentali per la sostenibilità:
    • 30% del costo totale, se il bene serve a produrre energia da fonti rinnovabili

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Innovazione e formazione per l’industria 5.0

Il Piano Transizione 5.0 dovrebbe dunque favorire l’adozione delle tecnologie alla base della quinta rivoluzione industriale. Tra queste sono annoverate l’intelligenza artificiale, l’Internet of Things, la stampa 3D e il cloud computing. La loro spinta innovativa e una perfetta integrazione con l’ecosistema industriale, sarà fondamentale per la competitività delle aziende italiane sul mercato.

Un altro aspetto chiave per la transizione all’industria 5.0 sono gli investimenti sulla formazione, messa in secondo piano nel precedente Piano Transizione 4.0. Adesso è prevista un’agevolazione sulle spese relative a quest’ambito, purché non superino il 10% degli investimenti totali e rientrino entro un tetto di 300.000 euro. Requisito fondamentale è inoltre che la formazione sia esplicitamente rivolta all’acquisizione o al consolidamento di competenze correlate alle tecnologie responsabili della transizione energetica e digitale dei processi di produzione.

Non manca tuttavia qualche perplessità riguardo l’efficacia del Piano Transizione 5.0. Se da una parte il programma di incentivazione economica è massiccio, i criteri di valutazione e confronto dei progetti sembrano deficitari. Non è infatti detto che un progetto più valido in termini di riduzione energetica, sia preferibile dal punto di vista dell’innovazione tecnologica.

Anche gli incentivi sulla formazione appaiono deficitari, dal momento che limitarli alla duplice transizione digitale/green potrebbe essere limitante. Inoltre il tetto del 10% sul budget totale non sembra sufficiente, specialmente se rapportato a un contesto dove è già stato ampiamente dimostrato che investire sulle competenze è spesso più importante rispetto a farlo su tecnologie e infrastrutture.

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Droni e mobilità avanzata: adozione in aumento nei settori industriali

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L’utilizzo di droni professionali in ambito industriale ha fatto registrare una sostanziale crescita nel 2023. La maturità raggiunta dalla tecnologia alla base del drone permette dopotutto una varietà di applicazioni anche nei settori più tradizionali. La sensazione è che l’espansione di questo mercato non sia ancora terminata. La mobilità avanzata aerea può pertanto rappresentare un’importante opportunità di sviluppo e innovazione per tante attività industriali.

Droni e mobilità avanzata: definizione e settori di applicazione

Il settore della mobilità avanzata aerea racchiude l’insieme di servizi, tecnologie e infrastrutture utili alla realizzazione di un sistema deputato al trasporto aereo di beni e persone. Come facilmente preventivabile, la rapida diffusione dei droni ha contribuito ad aumentarne i settori di applicazione. In particolare, tra il 2019 e il 2023 sono stati 1.471 i casi di utilizzo. Più precisamente:

  • Il 70% dei casi applicativi di droni inerisce al segmento delle Aerial Operations. Lavori del genere sono ad esempio i sopralluoghi e le ispezioni (44%) o la videosorveglianza (20%). In questi casi vengono usati droni di piccole o medie dimensioni;
  • Il restante 30% delle applicazioni di un drone riguarda progetti di Innovative Air Mobility & Delivery. In questo caso si fa ricorso a droni di dimensioni maggiori per il trasporto di merci o persone.

Il mercato della mobilità è dunque, almeno al momento, prevalentemente legato ai suoi utilizzi più tradizionali, come testimoniato dal significativo +186% fatto registrare dal numero di casi operativi nei settori storici nel corso dell’ultimo anno. A confermare l’importanza del trend ci ha pensato Marco Lovera, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Droni e Mobilità Aerea Avanzata.

Secondo Lovera la progressiva affermazione dei droni è una conseguenza dell’ottimo livello di sviluppo tecnologico-normativo raggiunto. Questo garantisce la possibilità di sperimentare nuovi servizi e di estendere le possibili applicazioni di mobilità avanzata a nuovi settori industriali e all’ambito dei trasporti.

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Il mercato dei droni: i numeri fino al 2023

La rilevanza del mercato dei droni si può pienamente comprendere solo analizzando nel dettaglio i dati statistici più recenti. Va innanzitutto precisato che, nonostante il progresso delle soluzioni di mobilità avanzata, il settore è ancora dominato dalle Aerial Operations. Le applicazioni tradizionali rappresentano addirittura il 97% del mercato, con i servizi più innovativi relegati ad appena il 3%.

Gli operatori responsabili delle Aerial Operations raccolgono così il 54% del valore di mercato e da soli costituiscono l’81% delle 652 imprese al momento attive. Ancora scarsa la domanda pubblica, con solo l’8% del valore globale. Va tuttavia precisato che il 38% delle imprese che si occupano di mobilità avanzata e droni hanno almeno un cliente nel pubblico e che, in Italia, le PA sono responsabili della realizzazione del 47% dei progetti.

Il segmento Innovative Air Mobility & Delivery è composto invece da produttori di piattaforme e OEM. Equivalgono al 60% delle 32 imprese che attualmente si dividono l’80% del valore del mercato. Queste applicazioni maggiormente innovative hanno attirato, negli ultimi anni, le attenzioni di aziende, enti politici e istituzioni. Dal loro progresso dipende buona parte della futura crescita del mercato di riferimento.

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Le prospettive del 2024

A fronte di uno sviluppo tangibile, il settore della mobilità avanzata aerea in Italia deve fare un altro passo in avanti. Tra le imprese, solo il 13% può definirsi “Poliedrica”, ovvero in possesso di una struttura organizzativa adatta a supportare l’uso sistematico di droni e il ricorso a collaborazioni strategiche con dei fornitori esterni. Più di un’azienda su quattro è invece classificabile come “Esordiente” , in quanto il drone viene utilizzato in maniera accessoria rispetto alla propria attività.

Le prospettive fanno tuttavia ben sperare. Il 39% delle aziende che utilizzano i droni vogliono migliorare i servizi; il 24% di esse vede la mobilità avanzata aerea come un fattore di vantaggio rispetto ai competitors; il 19% è infine interessata a migliorare l’utilizzo dei droni per una questione di immagine aziendale.

Una netta accelerazione è attesa dal versante Innovative Air Mobility & Delivery. Il settore presenta al momento un 77% di progetti dedicati al trasporto merci (54% generiche, 46% materiale sanitario). Solo il 7% è tuttavia operativo, perlopiù in zone difficili da raggiungere, come nel caso di alcune aree africane. La realizzazione delle potenzialità insite in queste applicazioni sarà una delle chiavi di volta del futuro mercato dei droni. A proposito di potenzialità, l’Italia intensificherà la sperimentazione relativa al trasporto di persone. Roma e Milano figurano difatti, tra le città che si cimenteranno nei servizi di mobilità per passeggeri. I progetti sono previsti per il 2024 e il 2026.

Buone notizie anche per quanto riguarda la costruzione di vertiporti: quello di Roma dovrebbe essere operativo entro fine anno, mentre quello di Venezia potrebbe essere ultimato anch’esso prima della conclusione del 2024. Altri 15 aeroporti hanno inoltre acconsentito a mettere a disposizione strutture e competenze per facilitare la costruzioni di ulteriori vertiporti, con alcuni progetti già attivi e altri che lo saranno nel corso dei prossimi tre anni.

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Siemens Industrial Copilot: la rivoluzione dell’AI per il settore manifatturiero

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Non vi è alcun dubbio: l’intelligenza artificiale generativa è una delle innovazioni tecnologiche che più sta cambiando il volto dell’industria, indipendentemente dal settore. L’AI sta infatti riscrivendo il paradigma alla base del rapporto uomo-macchina, con svariate applicazioni e rinnovate possibilità di automazione.

L’introduzione di questa nuova tecnologia garantisce alle industrie una notevole semplificazione dei processi e maggiore efficienza. Lo sviluppo di Siemens Industrial Copilot spinge proprio in questa direzione, ponendo l’AI generativa al centro delle linee di produzione e aprendo nuove prospettive professionali agli operatori.

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Siemens Industrial Copilot: cos’è

Alla SPS di Norimberga, Siemens ha presentato il suo Copilot, uno strumento che di fatto porta l’intelligenza artificiale generativa nel cuore delle macchine industriali. Una tendenza preventivabile, dato il successo riscosso dalle varie iterazioni dell’AI. Dal boom di ChatGPT ad un utilizzo affidabile e preciso dell’intelligenza artificiale in campo industriale, era solo questione di tempo.

Siemens Industrial Copilot promette dunque di portare l’automazione industriale ad un nuovo stadio. Un intento reso ancora più chiaro da una collaborazione d’eccezione. La multinazionale tedesca ha lavorato con Microsoft per ottenere il massimo risultato in termini di performance e integrazione. La collaborazione tra Siemens e il colosso di Redmond si traduce inoltre in un’integrazione tra Microsoft Teams e il software dedicato alla gestione del ciclo di vita del prodotto, Siemens Teamcenter.

L’integrazione dell’intelligenza artificiale nel settore promette di accelerare ulteriormente il progresso tecnologico, rafforzando l’output produttivo delle aziende e le condizioni di lavoro al loro interno.

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L’AI applicata al settore manifatturiero

L’utilizzo di Siemens Industrial Copilot garantirà molteplici ed eterogenei benefici al settore manifatturiero. Qualche esempio? Si va da un’ottimizzazione dell’efficienza energetica a un più accurato controllo delle prestazioni, passando per la riduzione dell’impronta carbonica. Il risultato finale coincide con un miglioramento qualitativo di ogni fase del ciclo di vita della macchina. Bisogna inoltre considerare che l’AI generativa è una tecnologia ancora giovane, ricca di potenzialità inespresse e con enormi prospettive di semplificazione di utilizzo all’orizzonte.

Siemens Industrial Copilot gode inoltre del collegamento con Totally Integrated Automation (TIA) Portal di Siemens attraverso l’API TIA Portal Openness. Questo aspetto permetterà agli ingegneri di generare codice PLC da input forniti alla macchina in linguaggio naturale, in maniera altamente dettagliata, riducendo di conseguenza il tempo richiesto e il margine di errore. Per meglio rendere l’idea, basti pensare che attività che prima richiedevano settimane di lavoro, potranno essere svolte in pochi minuti.

I task più ripetitivi verranno perciò automatizzati proprio grazie all’apporto dell’intelligenza artificiale, mentre i lavoratori saranno reindirizzati verso compiti che beneficiano maggiormente dell’approccio umano. È il caso del debug di codici di automazione complessi, processo che può portare a notevoli rallentamenti della fase di simulazione. Gli ingegneri mantengono la possibilità di interfacciarsi con il Siemens Industrial Copilot, apprendendo quindi nuove competenze.

L’accesso di Siemens Industrial Copilot a tutta la documentazione, le linee guida e i manuali di assistenza permette inoltre di snellire le operazioni di manutenzione. Grazie a una più rapida identificazione di errori e soluzioni, i tempi di fermo macchina saranno notevolmente ridotti, migliorando la redditività dell’intera linea di produzione.

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Siemens e Microsoft Industrial Copilot: applicazioni 

Le applicazioni di Siemens Industrial Copilot, ma più in generale dell’AI, sono dunque un’autentica rivoluzione che sta accelerando notevolmente i tempi dello sviluppo tecnologico industriale. Nel dettaglio, la gestione automatizzata degli enormi flussi di dati generati ha avuto risvolti positivi soprattutto sui seguenti processi aziendali:

  • R&S;
  • Progettazione;
  • Produzione;
  • Supply chain.

Difficile quantificare con precisione quello che sarà l’impatto effettivo dell’intelligenza artificiale nell’industria manifatturiera. Una prima stima parla di un potenziale economico compreso tra i 2.600 e i 4.600 miliardi di dollari. Cifre da capogiro, equivalenti al PIL del Regno Unito, che danno l’idea della portata del fenomeno.

Questa tecnologia vanta peraltro un tasso di adozione elevatissimo. ChatGpt, ad esempio è stata l’app più utilizzata di sempre in relazione al tempo di disponibilità e c’è da aspettarsi che anche in ambito industriale il successo di progetti come quello di Siemens e Microsoft sia enorme. I primi feedback giunti dalle aziende che hanno integrato Siemens Industrial Copilot rinforzano quest’idea:

  • Il 70% ha dichiarato di avere incrementato la produttività interna.
  • Il 68% ha riscontrato un miglioramento della qualità del lavoro.
  • Il 57% ha sostenuto che l’AI ha prodotto un aumento della creatività.
  • Il 67% ha investito tempo in attività più strategiche grazie al lavoro svolto da Siemens Industrial Copilot.
  • Il 77% ha reputato ormai irrinunciabile l’intelligenza artificiale.

C’è da aspettarsi una continua crescita, con tante aziende che stanno studiando come implementare in maniera efficace l’AI proprio grazie al supporto di progetti come quello di Siemens e Microsoft.

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Integrazione verticale e integrazione orizzontale: tecnologia d’accesso per l’industria 4.0

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Nell’ambito dell’industria 4.0, integrazione verticale e orizzontale fanno parte delle cosiddette “Tecnologie abilitanti”. Con questo termine ci si riferisce a nove particolari innovazioni tecnologiche che hanno cambiato radicalmente il volto delle fabbriche, trainandole verso quella che oggi viene comunemente definita “Quarta rivoluzione industriale”.

Una strategia di integrazione verticale e orizzontale prevede dunque un profondo rinnovamento strutturale dell’intera linea produttiva. Conseguenza di questo processo è la fitta integrazione tra ambienti, tecnologie e competenze: uno degli elementi distintivi delle moderne smart factory.

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Integrazione verticale e orizzontale significato

Il quinto punto del manifesto dell’industria 4.0 definisce in sintesi l’integrazione, orizzontale e verticale, come un’integrazione di informazioni che riguarda tutta la supply chain. È un processo che coinvolge sia la produzione dell’azienda in sé, sia i suoi rapporti con i fornitori e i clienti. Più nel dettaglio, i due tipi di integrazione, pur contribuendo a tale obiettivo, sono caratterizzati da differenze e aspetti unici.

  • Integrazione orizzontale: riguarda l’interconnessione tra singoli macchinari, attrezzature o unità produttive. In questo modo tutta l’attività è costantemente monitorata in tempo reale e resa più efficiente;
  • Integrazione verticale: è un concetto più ampio che riguarda l’integrazione della linea produttiva con le altre aree aziendali: distribuzione, controllo qualità, progettazione… In questo modo ogni singolo momento che va dalla progettazione del prodotto, al supporto post-vendita, viene internalizzato con conseguenze vantaggiose per l’azienda.

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Strategia di integrazione verticale nella supply chain

Una strategia di integrazione verticale funzionale deve dunque puntare a una interconnessione efficace dell’intera catena di approvvigionamento. Questo si traduce in una serie di implementazioni, quali ad esempio:

  • Utilizzo di sistemi gestionali (ERP, WMS, CRM, SCM…);
  • Distribuzione dei dati su piattaforme cloud;
  • Analisi dati in tempo reale e programmazione interventi sulla base del monitoraggio costante realizzato attraverso la tecnologia IIoT;
  • Automazione di tutte le fasi produttive;
  • Implementazione di tecnologie quali blockchain o software di analisi dei big data.

Si tratta in altri termini di un’integrazione che non riguarda solo i macchinari o le linee di produzione, ma l’interezza dei reparti che definiscono l’azienda. L’obiettivo finale è mettere in comunicazione tutti i processi di una fabbrica, fornendo un flusso di dati costantemente aggiornato sul quale deve essere possibile intervenire prontamente, da remoto e in tempo reale, dalla fase di progettazione fino a quella successiva all’immissione del prodotto sul mercato.

A che grado di integrazione verticale puntare

Per ottenere i massimi risultati, la messa a punto di una strategia di integrazione verticale deve quindi puntare a rivoluzionare il concetto stesso di fabbrica. Il primo passo è l’abbandono della vecchia struttura a silos. Per far si che ciò accada è necessario provvedere all’efficientamento delle tecnologie utilizzate. Ad esempio, per realizzare una perfetta integrazione tra macchine di fornitori diversi, è necessario stabilire una meta-rete che favorisca la loro comunicazione, basata su protocolli differenti.

La questione della sicurezza dei dati è altrettanto importante. La comunicazione tra più attori aumenta infatti il rischio di fughe di informazioni o della corruzione delle stesse. È perciò necessario garantire un elevato standard di sicurezza e l’implementazione di tecnologie sicure di condivisione e archiviazione.

Più in generale, l’integrazione verticale deve essere parte di un modello di business ben studiato. Se da un lato una fabbrica ben integrata verticalmente ha la capacità di poter rispondere più velocemente alle esigenze di mercato o ai feedback post-vendita, dall’altro deve far fronte a una serie di spese e adeguamenti tecnologici non indifferenti. Un alto grado di integrazione verticale ripaga però gli investimenti dischiudendo opportunità prima precluse all’azienda, come la possibilità di riprogrammare in tempo reale attività di produzione o consegna in base alla reale disponibilità di mezzi o dipendenti.

Nel caso di un’attività che produce macchine industriali inoltre, è possibile integrare nel processo creativo feedback provenienti direttamente dall’attività in fabbrica, così da mettere a punto modifiche basate sull’uso reale dei macchinari.

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Integrazione orizzontale esempio

Le smart-factory prevedono la creazione di una rete di sistemi cyber-fisici tra loro collegati e che forniscono una serie di vantaggi, quali:

  • Monitoraggio costante dei macchinari con conseguente riduzione dei downtime;
  • Possibilità di programmare interventi di manutenzione predittiva sulla base del rilevamento di possibili guasti e inefficienze;
  • Miglioramento dell’output produttivo con una conseguente riduzione dei costi di gestione.

Il sopracitato sistema si realizza attraverso l’adozione di determinati protocolli di comunicazione. Uno dei più importanti è il B2MML, Business To Manufacturing Markup Language. Questo protocollo permette di integrare i sistemi ERP e di gestione della supply chain, con altri sistemi deputati al controllo e responsabili della raccolta dei dati.

Un’applicazione pratica che rende facilmente comprensibile il concetto di integrazione orizzontale può essere quella realizzata in un’azienda di imballaggi. In questo caso diversi sistemi PLC possono venire integrati su una piattaforma unica, indipendente da singoli hardware o software. La conseguenza è un miglioramento globale dell’efficienza dell’intera fabbrica, dato che viene resa possibile una gestione multi-progettuale.

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Business continuity: definizione, implementazione e cybersicurezza

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Garantire la continuità aziendale anche in casi di eventi imprevisti: è questo lo scopo principale del Business Continuity Plan, il piano di emergenza che ormai la maggiorparte delle aziende mette in pratica quando si verificano incidenti o eventi avversi. L’obiettivo è quello di prevenire danni e fermi alla produzione e di attuare strategie emergenziali che tutelino sia la sicurezza dei dipendenti, sia il fatturato aziendale.

Business continuity – definizione

La capacità delle imprese o delle organizzazioni di continuare a svolgere le proprie attività anche in caso di eventi imprevisti, incidenti o emergenze è detta continuità operativa o Business Continuity. Si tratta di un tema molto caro alle aziende che, dopo la pandemia, è diventato ancora più importante e degno di attenzione: avere una Business Continuity efficace permette di essere più competitivi sul mercato e di non farsi trovare impreparati. Tuttavia la strada da percorrere non è semplice poiché non si tratta solo di mantenere attiva la produttività, ma anche di assicurare servizi, organizzare e gestire le risorse umane, scegliere i fornitori adeguatamente. 

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Business continuity plan: implementazione aziendale

Si è iniziato a parlare per la prima volta di Business Continuity Plan negli anni ’70, con l’introduzione dei disaster recovery all’interno delle aziende finanziare e delle assicurazioni. Fino agli anni ’80 si è trattato però solo di servizi di backup, finalizzati al recupero dei dati. Solo a partire dagli anni ’90 le aziende si orientano verso un piano strutturato di continuità aziendale.

La prima cosa da fare per stilare un buon continuity plan è quella di analizzare il contesto aziendale ed identificare le azioni necessarie: chi si occupa di stilare il Business Continuity Plan deve tenere conto dell’organizzazione aziendale, dei processi di produzione, del tipo di risorse impegnate e anche delle normative in vigore. Il personale e i manager devono essere resi partecipi del Business Continuity Plan, poiché sono parte integrante del processo e devono sapere come muoversi e intervenire in ogni scenario. Nel breve termine devono essere effettuate operazioni di monitoraggio, per poi passare alla fase di analisi dei possibili eventi imprevisti sulla base dei quali si studia il cosiddetto downtime, ossia il tempo massimo in cui la produzione o l’attività aziendale può fermarsi senza causare disservizi o danni. Arrivati a questo punto vengono stabiliti i tempi necessari e le operazioni da svolgere per tornare alla normalità produttiva. Ogni BCP va poi testato in azienda, per assicurarsi che sia efficiente.

Business continuity: vantaggi

Tra i vantaggi del BCP c’è la possibilità di avere un backup ed un ripristino di dati avanzato, grazie all’utilizzo di tecnologie come il cloud computing, la replica dei dati e il backup remoto. Preziosi anche gli strumenti che consentono il monitoraggio e la gestione degli incidenti, permettendo alle aziende di affrontare le emergenze in tempo reale e attivare procedure che prevedano il ripristino dei processi di produzione. A ciò si aggiungono anche i sistemi di allerta che segnalano anomalie in corso o possibili situazioni di rischio. 

Un altro vantaggio del Business Continuity Plan è quello di incrementare la possibilità di telelavoro o smartworking. Un’azienda che è preparata non ha problemi a sostituire il lavoro in presenza con il lavoro da casa tramite l’utilizzo di piattaforme che garantiscono comunicazione, condivisione e collaborazione online.

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Cybersicurezza e business continuity

Cybersicurezza e Business Continuity: backup e disaster recovery sono l’esempio concreto di quello che può accadere in caso di eventi avversi. Si tratta di due procedure simili, ma che presentano alcune differenze. Il backup serve a proteggere i dati; mentre il disaster recovery ripristina l’operatività di macchine ed infrastrutture. I due si trovano ad operare in maniera sinergica e garantiscono un buon livello di resilienza dell’azienda.

Lo stretto legame tra cybersicurezza e BCP viene evidenziato anche dalla necessità di proteggere i dati delle aziende, utilizzando tecnologie ed infrastrutture che garantiscano la continuità lavorativa e che siano in grado di bloccare tentativi di hackeraggio o intrusione da parte di soggetti esterni. Le aziende devono quindi sempre più entrare in un ordine di idee dove la sicurezza informatica è implementata “by design”, migliorando in termini di protezione e risposta. Inoltre l’analisi del traffico sulle reti dei clienti permette sia di monitotorare le prestazioni della rete stessa, che di risolvere eventuali intoppi come ad esempio incompatibilità tra hardware e software.

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Simatic Run 2023

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Anche nel 2023 Cignoli partecipa come sponsor e con un team di maratoneti alla Simatic Run di Siemens, giunta alla sua 8° edizione.
Il 30 settembre si terrà la classica corsa organizzata dall’azienda hi-tech tedesca, che ritorna per il secondo anno di fila nella splendida località del Parco di Monza.

IL PARCO DI MONZA

Il Parco di Monza è uno dei parchi cintati più grandi d’Europa. La sua estensione, infatti, raggiunge i 700 ettari, quasi tre volte più grande della Reggia di Versailles. La prima testimonianza dell’istituzione del Parco risale al 1805 e fu voluto da Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone e viceré del Regno d’Italia. Il 14 settembre dello stesso anno viene emanato un decreto imperiale per la sua costruzione nel territorio monzese, allo scopo di farne una tenuta modello, agricola e di caccia.
Per avere maggiori info sul parco puoi visitare il sito dell’autodromo di Monza.

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LA GARA

La gara è una corsa podistica amatoriale che si sviluppa su un anello di 10km con variante. Il concorrente può scegliere se effettuare 1 o 2 giri: nel secondo caso percorrendo la distanza standard di una mezza maratona: 21km.

Sono quindi previste le seguenti 4 formule:

  • 10km femminile
  • 21km femminile
  • 10km maschile
  • 21km femminile

Il ritrovo è fissato presso il cortile di  Cascina Bastia.

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All’iscrizione ogni runner riceverà il seguente kit:

  • Assicurazione RC
  • Assistenza medica
  • Medaglia di partecipazione
  • Chip
  • Pacco gara
  • T-Shirt ufficiale

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